Nel 2023, in Italia, sono stati registrati 2.416 impatti tra aerei e animali, i cosiddetti “wildlife strikes”. Di questi, il 94% ha coinvolto volatili, con 2.279 casi segnalati dall’ENAC, l’Ente nazionale per l’aviazione civile.
Alcuni aeroporti come Roma Fiumicino sono particolarmente colpiti dal fenomeno. Qui, lo scorso anno, sono stati registrati 148 impatti con volatili e 5 con altre tipologie di fauna. Recentemente, un aereo di linea diretto in Cina ha dovuto effettuare un atterraggio d’emergenza dopo uno scontro con un volatile che ha danneggiato un motore subito dopo il decollo. Complessivamente il numero degli incidenti è rimasto “stabile” rispetto agli anni precedenti, un dato che, visti i rischi che si incorrono, non può tranquillizzare.
L’incremento del traffico aereo aumenta le probabilità di impatto tra aerei e fauna selvatica, che trova negli aeroporti e nelle loro vicinanze un habitat favorevole, anche per via dei residui di cibo e dei punti di ristoro vicini alle piste.
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Le specie più colpite, non sono uccelli
Analizzando i dati Enac, la maggior parte degli scontri con la fauna riguarda gli uccelli, con un numero significativo di specie non identificate. Tra i volatili maggiormente coinvolti ci sono i gheppi (203 incidenti), i gabbiani reali (162) e le rondini (133).
Sono i gabbiani reali a rappresentare una minaccia costante per gli aeroporti. La popolazione nidificante di questa specie, infatti, è raddoppiata dal 1980, superando oggi le 60.000 coppie, come riportato dall’Enac.
Oltre agli uccelli, il 2023 ha visto 132 impatti con mammiferi, 4 con rettili e persino uno con un invertebrato. Tra gli incontri più insoliti, sono stati segnalati anche 4 pipistrelli, 25 volpi e 4 tartarughe.
Un fenomeno in crescita a livello globale
L’aumento degli impatti tra aerei e fauna selvatica non riguarda solo l’Italia. Negli Stati Uniti, ad esempio, i dati indicano una crescita significativa del fenomeno. Nel 1990, gli impatti erano 1.850, ma sono saliti a 19.603 nel 2023, sempre secondo i dati del rapporto annuale dell’Enac.
L’Icao, l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, ha inoltre registrato un incremento del fenomeno a livello globale: tra il 2016 e il 2021, sono stati inviati 273.343 impatti tra aeromobili e fauna selvatica in 194 Stati. Un trend preoccupante, se paragonato ai 42.508 casi registrati tra il 2001 e il 2007 e agli oltre 97.000 casi rilevati tra il 2008 e il 2015.
Le fasi più critiche e le misure di sicurezza
In Italia, la maggior parte degli impatti con la fauna selvatica si verifica durante le fasi di atterraggio (51,2%) e decollo (36,3%), momenti in cui gli aerei sono a bassa quota e più esposti al rischio di scontro. Gli incidenti tendono a concentrarsi nei mesi di luglio e agosto, tra le 7 e le 11 del mattino, con un picco tra le 9 e le 10.
Le parti più colpite degli aerei sono il motore, il muso e le ali, con danni che possono richiedere riparazioni costose e, in casi estremi, portare incidenti gravi.
Per cercare di contenere il fenomeno, gli aeroporti italiani hanno adottato diverse misure di prevenzione: dall’uso di cannoncini e sirene per allontanare i volatili, all’impiego di falchi e cani addestrati per dissuadere gli animali dall’avvicinarsi alle piste. Spesso queste misure non risultano efficaci, soprattutto quando si tratta di specie che si sono ormai adattate a convivere con le attività umane.
Le conseguenze degli incidenti
Gli incidenti tra aerei e fauna selvatica non sono privi di conseguenze gravi: dal 1980 a oggi, a livello mondiale, 804 persone hanno perso la vita in incidenti legati a impatti con animali, e 739 aerei sono stati distrutti, sia nell’aviazione civile che militare.
L’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile raccomanda agli Stati membri di adottare protocolli rigorosi per minimizzare il rischio di collisioni, una necessità resa ancora più urgente dall’aumento dei voli e dalla crescente urbanizzazione delle aree circostanti gli aeroporti.
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