Per chi vola per lavoro, l’aeroporto è uno spazio di passaggio obbligato, pensato per coniugare efficienza e rapidità. Ma sempre più spesso, questa efficienza ha un costo proibitivo: acqua venduta fino a 9 euro, panini a 16 euro e un semplice caffè che supera i 4 euro. Cifre che per molti viaggiatori rappresentano un vero e proprio “salasso” e, al contempo, una tassa inevitabile su un bene essenziale. Chi viaggia per lavoro, spesso di fretta e senza alternative, è costretto a sottostare a questi prezzi che incidono non solo sul portafoglio ma anche sull’umore, rendendo l’esperienza di transito negli aeroporti sempre più onerosa e frustrante. Eppure, con l’Unione Europea che lascia totale libertà di tariffazione ai gestori aeroportuali, i rincari non trovano ostacoli, e i prezzi continuano a crescere senza limiti e senza interventi significativi.
Come mai i prezzi sono così alti
Ma cosa c’è dietro questi prezzi da record? La gestione degli spazi commerciali negli aeroporti è un territorio altamente lucrativo e poco regolamentato. Le società di gestione aeroportuale, molte delle quali privatizzate negli ultimi decenni, impongono affitti elevatissimi ai concessionari e richiedono royalties sulle vendite, con percentuali che possono arrivare fino al 30%. Un chiosco in un aeroporto può pagare fino a cinque volte di più rispetto a un’attività situata in un comune centro commerciale. In cambio, questi esercizi accettano di aderire a contratti che includono percentuali di vendita a favore del gestore aeroportuale, con i costi che vengono inevitabilmente trasferiti sui consumatori finali.
Inoltre, le rigide norme di sicurezza introdotte dopo gli attacchi dell’11 settembre, che vietano ai passeggeri di portare con sé liquidi oltre i 100 ml nel bagaglio a mano, hanno trasformato l’acqua in un bene strategico e altamente richiesto nei terminal, e creano così una vera “bolla di lusso” sui beni essenziali. Questa “tassa” sull’acqua si applica in aeroporti come Istanbul, Londra e Berlino, dove i prezzi sono tra i più alti d’Europa. A Francoforte, una bottiglietta d’acqua può costare 4,75 euro, mentre a Bruxelles i 4,6 euro per 0,5 litri salgono a 5,7 euro per una bottiglia da 0,75 litri, un formato che molte compagnie impongono per aumentare i margini di guadagno. In un ambiente come quello aeroportuale, dove non esiste concorrenza e i negozi operano in regime di monopolio, i passeggeri non hanno alternative se non pagare questi prezzi esorbitanti.
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Fontanelle e tentativi falliti di contenere i prezzi dell’acqua
Qualcuno ha provato a intervenire, ma con risultati scarsi. Nel 2016 l’associazione Airports Council International (ACI) ha cercato di calmierare il prezzo dell’acqua a un euro per mezzo litro, ma l’idea si è arenata tra complessità regolamentari e resistenze da parte dei gestori. In Grecia, dove il governo ha fissato il prezzo massimo dell’acqua a 60 centesimi per bottiglietta da mezzo litro, i rivenditori hanno semplicemente ritirato le bottiglie piccole, sostituendole con quelle da 0,75 litri, più care e fuori regolamento. In altri Paesi, alcuni aeroporti hanno installato fontanelle gratuite per consentire ai viaggiatori di riempire le proprie borracce e ridurre così l’acquisto di bottigliette, ma la situazione è ben diversa da quanto previsto: a Francoforte, l’acqua delle fontanelle è spesso descritta come insapore o di scarsa qualità; in altri aeroporti, come Londra Heathrow, alcuni passeggeri segnalano frequenti guasti e scarsa manutenzione, con fontanelle fuori servizio o poco igieniche. In Italia, alcuni aeroporti come Fiumicino hanno introdotto fontanelle, ma i viaggiatori riferiscono che queste sono collocate in punti poco visibili e spesso scomodi da raggiungere, limitandone l’utilità.
Servono prezzi equi sui beni essenziali
Negli Stati Uniti, dove i prezzi negli aeroporti hanno già suscitato polemiche, una serie di scandali ha portato a una regolamentazione concreta. Dopo che nel 2021 un passeggero ha condiviso su Twitter una foto di una birra a 27 dollari venduta all’aeroporto LaGuardia di New York, l’indignazione pubblica ha costretto l’Autorità Portuale di New York e New Jersey a intervenire, imponendo un tetto massimo ai rincari sui beni essenziali. Oggi, i venditori negli aeroporti di New York non possono applicare rincari superiori al 10% rispetto ai prezzi dei negozi al di fuori del terminal. Questa misura ha portato a un abbassamento immediato dei prezzi e a una maggiore trasparenza per i viaggiatori, in particolare per i beni essenziali come l’acqua e il cibo.
Una regolamentazione simile in Europa aiuterebbe i viaggiatori d’affari, obbligati per necessità a consumare nei terminal, a evitare rincari fuori controllo. Tuttavia, al momento, gli aeroporti europei restano una “zona franca” dove i viaggiatori, privi di alternative, pagano cifre spropositate per beni di prima necessità.
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