Dopo lo stop ai voli di venerdì sull’aeroporto di Londra Heathrow causato da un incendio in una sottostazione a North Hayes di cui abbiano dato la notizia qui i voli sono ripresi e si tornerà alla completa normalità oggi, sabato, anche se ci vorranno giorni – e magari qualche volo supplementare – per “smaltire” gli oltre 200.000 passeggeri colpiti dall’evento. Ricordiamo che il maggior scalo londinese è il più grande d’Europa e il più connesso al mondo.
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Caos a Londra Heathrow: sabotaggio o problema infrastrutturale?
Se la Polizia e i Vigli del fuoco britannici hanno escluso origine dolose per l’incendio divampato nella sottostazione di North Hayes, in questo particolare periodo internazionale non sono mancate le speculazioni su un sabotaggio da parte della Russia a una infrastruttura vitale per il Paese, il Regno Unito, tra i più convinti alleati dell’Ucraina. Noi per fare chiarezza abbiamo chiesto a David Jarach, professore alla Bocconi e Founder ed Executive Chairman della società di consulenza Diciottofebbraio, uno dei massimi esperti italiani di aviazione commerciale, la sua visione su questo incidente che si è inevitabilmente ripercosso su tutto il traffico aereo globale.
Caos a Londra Heathrow: la visione di David Jarach
L’incendio di una sottostazione per la produzione di energia al servizio dello scalo di Heathrow, sulle cui dinamiche sono aperte le indagini della magistratura britannica, ha posto in plastica evidenza la fragilità dell’assetto del trasporto aereo europeo e, in prospettiva, globale.
In questo senso molti attori si sono interrogati in questi giorni sull’opportunità di reiterazione anche per gli anni a venire del modello di network hub&spokes, che tende naturalmente a polarizzare il servizio a partire da una piattaforma infrastrutturale di scambio per moltiplicare il novero delle destinazioni collegate attraverso un transito.
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Nei fatti, l’incidente di Heathrow sposta questa chiave di lettura dalla semplice soluzione di network hub&spokes, la cui attivazione nasce sempre dalla scelta commerciale di un vettore, ad una più ampia problematica infrastrutturale sistemica. La chiusura del primario nodo di Heathrow ha infatti non solo comportato centinaia di cancellazioni di voli, ma anche evidenziato l’assoluta assenza di soluzioni di back-up per l’accoglienza dei velivoli nell’intero Regno Unito. E, si badi, non si tratta tanto della pluridecennale discussione sul potenziamento del numero di piste sul primario scalo londinese, su cui il governo laburista in carica ha recentemente espresso parere favorevole, quanto, piuttosto, dell’assenza di una prospettiva di rete, con la sottovalutazione di investimenti presso altri scali secondari, ma con possibile funzione di supporto, che appare quanto mai insipiente alla luce anche dei tassi di crescita dell’industria aerea per gli anni a venire.
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Peraltro, tale condizione non sembra particolarmente diversa anche nell’Europa continentale, dove la quasi saturazione di molte piattaforme aeroportuali non viene controbilanciata da nuovi progetti di sviluppo ma, al contrario, posta in compressione da istanze ambientali e di rumorosità. Una riflessione, in questo senso, dovrebbe anche essere compiuta con riferimento ai processi di privatizzazione del settore, che spesso hanno condotto ad una parcellizzazione dell’ambito di controllo di capacità e di competizione tra infrastrutture, piuttosto che ad una più efficace coopetizione di settore.
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Quanto accaduto dovrebbe anche essere tenuto in considerazione dal legislatore italiano e dalle istituzioni preposte, da cui ancora oggi non perviene una lettura di intervento chiara sul panorama aeroportuale, né una reale visione di pianificazione a lungo termine dello stesso. Basti pensare a come l’evidente saturazione di alcuni aeroporti regionali, soprattutto nel picco estivo, si trasformi in sterili conflittualità politiche e mediatiche locali invece che in rapidi investimenti per alleviare i problemi, i cui ritardi vengono sempre ascritti alla burocrazia. In realtà queste situazioni sono, piuttosto, legate a scelte campanilistiche, che non valorizzano l’effetto sistemico con gli altri scali di prossimità per la gestione della capacità in accesso e deflusso dei vettori aerei e su cui le autorità preposte, come da costume, tacciono o elaborano in certi casi solo soluzioni dirigistiche o quanto meno fantasiose, non supportate da expertise di industry.
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