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Boeing in tilt per lo sciopero: è l’inizio della fine?

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Dopo il rifiuto del 94,6% dei dipendenti alla proposta aziendale, 30.000 lavoratori si preparano a fermare la produzione

Il colosso aerospaziale Boeing si trova sull’orlo di una crisi che potrebbe far tremare l’intero settore. Dopo settimane di negoziati fallimentari con il sindacato, l’azienda ha visto crollare ogni speranza di accordo: il 94,6% dei lavoratori ha rifiutato la proposta di Boeing, una risposta quasi unanime che riflette una profonda insoddisfazione. La proposta, che prevedeva un aumento salariale del 25% contro la richiesta del 40%, è stata giudicata insufficiente e inadeguata in un contesto in cui i lavoratori si sentono da tempo sottopagati e sottovalutati. Non è solo una questione di numeri, ma di fiducia tra management e dipendenti, un rapporto ormai logoro. La protesta, che avrà inizio alle mezzanotte del 13 settembre 2024 (ora locale), coinvolgerà 30.000 lavoratori a Seattle e in altre aree chiave per la produzione, e rischia di interrompere la costruzione dei modelli 737 Max e 777, due pilastri fondamentali del business di Boeing. La paralisi potrebbe non essere solo produttiva: è una frattura più profonda, che potrebbe avere ripercussioni irreversibili sulla reputazione e sulla solidità dell’azienda.

Uno protesta che colpisce al cuore Boeing

Il tempismo dello sciopero, proclamato dall’International Association of Machinists and Aerospace Workers (IAM), non poteva essere più disastroso per Boeing. L’azienda, già duramente colpita da problemi tecnici e scandali, è alle prese con il disastro del 737 Max, il cui blocco globale ha gravemente danneggiato le finanze dell’azienda. Le stime parlano di perdite tra i 3 e i 3,5 miliardi di dollari se la produzione sarà fermata a lungo, ma i danni finanziari, per quanto rilevanti, sono solo un sintomo di una crisi più profonda.

Kelly Ortberg, nuovo CEO, si trova a dover gestire una crisi che sembra fuori controllo. L’ultima volta che l’azienda ha affrontato uno sciopero simile, nel 2008, le linee furono bloccate per 57 giorni, e i segnali attuali non sono incoraggianti. Più che una battaglia salariale, questa protesta riflette una rottura di fiducia, un sentimento diffuso tra i lavoratori di essere stati messi in secondo piano in un’azienda che sta lottando per mantenersi a galla.

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Cosa c’è in gioco?

Lo sciopero mette a rischio non solo la produzione, ma anche il futuro stesso di Boeing, già compromesso da scandali e da una crisi gestionale profonda. La reputazione del colosso americano è in caduta libera: tra i clienti che iniziano a perdere fiducia e gli investitori sempre più preoccupati, il margine di errore si è azzerato. Eppure, Boeing sembra incapace di riconoscere la vera portata del problema: non si tratta solo di una richiesta “eccessiva” da parte del sindacato, come l’azienda ha dichiarato, ma di una crisi culturale. Il management appare scollegato dalle realtà quotidiane dei lavoratori, e la mancanza di dialogo rischia di peggiorare una situazione già delicata. A questo si aggiunge la pressione crescente di concorrenti come Airbus, che sta guadagnando quote di mercato mentre Boeing è impantanata in ritardi e indagini, come il recente “caso Alaska”, che ha spinto la FAA a intensificare i controlli. Se Boeing non riuscirà a trovare un compromesso in tempi brevi, il rischio è di perdere non solo la leadership nel settore, ma anche la propria identità come pilastro dell’industria aerospaziale globale.

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