Negli ultimi giorni, diverse testate nazionali hanno riportato l’indiscrezione secondo cui il Ministero del Turismo potrebbe prorogare fino a gennaio 2025 l’obbligo di utilizzo del Codice Identificativo Nazionale (CIN) per gli affitti turistici e brevi. Attualmente, la scadenza è fissata al 2 novembre 2024 e prevede sanzioni severe, con multe che variano da 500 a 8.000 euro per chi non si adegua.
La preoccupazione principale tra i gestori di affitti brevi riguarda il rigido quadro sanzionatorio, che si scatterà dopo 60 giorni dall’entrata in vigore della piattaforma BDSR.
Per fare chiarezza sulle conseguenze di questa normativa e sulle possibili proroghe, abbiamo parlato con Marco Celani, Presidente di AIGAB, Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi.
A che punto siamo con le registrazioni per ottenere il CIN? Quali le regioni virtuose e quelle più indietro. A cosa si può attribuire questa ‘differenza di marcia”?
Secondo i dati del Ministero del Turismo ad oggi il tasso di rilascio del CIN ha oltrepassato il 40% (43,13%) delle oltre mezzo milione di strutture registrate nella Banca Dati Nazionale (BDSR).
Va detto che in diverse Regioni i CIR non erano assegnati perché il sistema ha iniziato a lavorare da poco (ad es. la Sicilia che comunque ha superato il 43%), per cui il numero delle strutture registrate aumenta ogni giorno. In Regioni dove il sistema regionale non è stabile (Toscana e Lazio) ci sono grandi rallentamenti nell’interoperabilità con la BDSR.
Nonostante questo il Lazio è quasi al 50% e il numero di CIN registrato su Roma è coerente con gli annunci online (oltre 27mila, inclusi gli hotel), con buona pace di chi grida all’abusivismo totale. La Toscana è quasi al 44% con Firenze un po’ indietro rispetto alla regione (40,81%).
Da notare che ci sono grandi difficoltà in tutte le Regioni con il rilascio di nuovi CIR con gli uffici comunali in ritardo rispetto alle richieste (sintomo che la BDSR sta facendo leva come lotta al sommerso). Ad eccezione della Basilicata, con quasi il 68% dei CIN rilasciati rispetto al numero di strutture registrare sulla BDSR, della Provincia Autonoma di Bolzano, con quasi il 59%, di Lombardia, Lazio, Campania e Molise intorno al 50%, nelle restanti Regioni si veleggia tra il 35 e il 45%, con l’eccezione negativa del Friuli Venezia Giulia, che rimane sotto il 20%. Le grandi città sono tutte sopra la media nazionale, segno della maggiore incidenza di property manager e di professionalità tra gli host. Milano al 52%, Roma e Bologna al 51%, unica eccezione Venezia, ancora ferma al 31,43%.
L’adeguamento al tema sicurezza con l’obbligo di dotarsi di rilevatori di fumo e di estintori sta sicuramente rallentando il processo: per registrarsi alla Banca Dati bisogna dichiarare di essere a norma e dunque di essersi già dotati di questi sistemi di sicurezza, ma l’obbligo prevede estintori specifici, da 11 chili, per i quali è necessaria la manutenzione oltre che un corso per l’utilizzo. Un obbligo giudicato insensato da tanti proprietari che devono farsi carico dei relativi nuovi costi che ne derivano.
Quali sono gli aspetti positivi di questa nuova normativa. Per esempio l’obiettivo di semplificare le procedure è stato ottenuto?
Come Associazione ci siamo da subito pronunciati in maniera favorevole rispetto alle nuove norme e siamo stati grandi sostenitori del CIN, ponendo però espressamente delle condizioni, alcune delle quali sono state disattese, e quindi il nostro giudizio non può essere pienamente positivo.
Ad esempio avevamo chiesto che il CIN fosse trasmesso dalla BDSR alle OTA e che fosse in modo univoco poi presente sui portali in modo tale che non si potessero promuovere case se non direttamente e univocamente identificate da parte del Ministero. Così non è stato e il funzionamento effettivo della BDSR dipenderà dalla capacità di controllo dei Comuni, che sappiamo non essere grandissima, vuoi per risorse, vuoi per competenze.
Inoltre avevamo chiesto che la BDSR diventasse l’unica Banca Dati Nazionale e non un duplicato di quelle regionali. Ciò che è in atto adesso è un braccio di ferro non tanto tra il Ministero e le Regioni, che hanno accettato di avere un’interoperabilità, ma tra il Ministero e i Comuni, che pretendono autonomia nell’imporre restrizioni al mercato degli affitti brevi, ai diritti dei proprietari e alla libertà d’impresa dei property manager.
Valuteremmo favorevolmente l’ipotesi, fatta circolare dal Ministero del Turismo, di far slittare al 2025 il termine per adeguarsi ai nuovi adempimenti.
Quali quelli negativi (adempimenti, rivelatori fumo, targa CIN sui condomini…)
Abbiamo combattuto aspramente negli ultimi 12 mesi anche rispetto ai requisiti di sicurezza: se rilevatori di fumo e di monossido di carbonio vengono giudicati essenziali per la sicurezza di un’abitazione, dovrebbero diventare obbligatori anche in tutte le abitazioni degli italiani, non solo nelle case affittate ai turisti per brevi periodi. Con questa provocazione intendo dire che il requisito di abitabilità e di agibilità previsto per le abitazioni residenziali era più che sufficiente per esercitare l’attività di affitti brevi, senza bisogno di introdurre il paradosso di un estintore da 11 kg, sovradimensionato rispetto ad abitazioni con una media di 40 mq di superficie, che può essere utilizzato solo da un preposto, quindi qualcuno che abbia fatto un corso antincendio. Di fatto si tratta di estintori che in caso di incendio nessuno potrà utilizzare.
La redditività degli affitti brevi è sempre superiore a quelli lunghi?
No, non è così. La rendita derivante da affitti brevi è quasi equivalente a quella derivante dagli affitti tradizionali.
A Milano ad es. la redditività per una casa messa reddito con affitto tradizionale 4+4 è del 4,3%, con affitti brevi è del 4,1%, con affitti agli studenti del 3,9%.
17mila € è il valore medio incassato per ogni casa online dal proprietario nel 2023 con forchetta tra Milano (circa 31mila €) e Roma (circa 39mila €) e destinazioni di mare o montagna (circa 6mila € l’anno).
Dai valori elencati sopra il proprietario deve stornare cedolare secca (21%), costi per le utenze (circa 3mila euro tra elettricità, gas, wi-fi, TARI, TASI, IMU), costi delle pulizie (10% degli incassi), costi dei portali online (20% degli incassi).
La rendita netta per il proprietario equivale al 35% dell’incasso.
Tutte queste norme potrebbero avere la conseguenza di lasciare gli immobili sfitti con tutto quello che questo comporta: degrado, svuotamento dei centri storici…
È un dato di fatto che grazie alla presenza di viaggiatori che diventano cittadini temporanei, gli affitti brevi contribuiscano al ripopolamento dei centri storici delle città italiane, il cui spopolamento, come i dati raccontano, è iniziato ben prima dell’arrivo in Italia delle grandi piattaforme di prenotazioni online, ed è dovuto ad una serie di fattori che dovrebbero essere presi in carico dalle amministrazioni comunali nella loro complessità.
È un dato di fatto anche che sia le persone anziane che le giovani coppie, magari con figli, preferiscano abitazioni nuove, vicine ai servizi essenziali, come presidi medici-ospedalieri o ricreativi (come palestre, cinema), nonché a centri commerciali dove fare la spesa, per poi tornare a casa in un quartiere non ZTL, avere un posto auto limitrofo e un ascensore per portare spesa e passeggini al terzo o al quarto piano. Tutti elementi concreti che contribuiscono alla qualità della vita di tutti i giorni e che non è possibile abbinare alle realtà dei nostri centri storici.
Una visione miope delle cose non porterà benefici a nessuno.
Servono cooperazione e rispetto per i diritti di tutti: di chi cerca casa e non ha i mezzi sufficienti e conta sull’aiuto dello Stato nelle sue varie declinazioni, centrali e territoriali, e delle famiglie italiane che pagano le tasse, le bollette, il canone RAI, il condominio e così via… su una casa che magari hanno ereditato dai genitori defunti e che non si fidano ad affittare con il classico 4+4 che ha un 24% di tasso di morosità e che, se hanno la fortuna che sia ubicata in una Città come Firenze ad alta vocazione turistica (a prescindere dagli affitti brevi!), legittimamente vogliono mettere a reddito.
L’overtourism e le botteghe storiche che chiudono per lasciare posto ai “kebabbari”, tanto per restare in superficie, sono fenomeni mondiali e complessi. Non imputabili al diritto di proprietà di tante famiglie italiane.
Quali potrebbero essere gli ‘aggiustamenti’ in corsa che potrebbero essere facilmente messi a terra?
Considerando che il processo di standardizzazione a livello normativo europeo proseguirà anche se con lentezza, potremmo arrivare ad avere una Banca Dati delle Strutture Ricettive a livello europeo e dei flussi standardizzati, anche se ci vorranno anni. Il mio auspicio è che questo tipo di raccolta dati da parte dell’Unione Europea porti a un’armonizzazione delle regole piuttosto che a una parcellizzazione degli adempimenti.
In generale ribadiamo la nostra volontà di collaborare a livello istituzionale con il Governo centrale e con le Amministrazioni locali, perché sarebbe assurdo tentare di normare, ancora una volta, un mercato come quello degli affittii brevi che contribuisce in maniera importante all’industria nazionale del turismo, senza coinvolgerne i protagonisti, ovvero i property manager che, auspichiamo, vengano sempre più considerati i migliori alleati delle Istituzioni.
Ricordiamo a titolo di esempio che i gestori professionali agiscono da sostituto d’imposta e raccolgono e versano allo Stato la cedolare secca, ed inoltre raccolgono dai turisti e versano ai Comuni l’imposta di soggiorno, evitando in entrambi i casi il dilagare del sommerso.
Leggi Anche: Affitti brevi: parte la Banca Dati delle Strutture Ricettive (BDSR)
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